Biografia

Diego Antonio Tajani nacque a Cutro l’8 giugno 1827. Suo padre era Giuseppe Maria Tajani, componente di una famiglia di notabili di Vietri sul Mare, capitano dell’esercito francese che partecipò alle campagne d’Italia al seguito di Napoleone e di Murat. Dopo il ritorno di Ferdinando I sul trono di Napoli nel 1821, Giuseppe Tajani, che era stato uno dei principali fautori della rivoluzione del 1799, fu esule in Calabria e si stabilì a Cutro, in casa di Giuseppe Guarany, suo compagno d’armi, del quale successivamente sposò la cognata, Teresina Fattizza, da cui nacque Diego.
Secondo la tradizione orale, Tajani frequentò la scuola di base a Cutro e le scuole superiori a Catanzaro. Si trasferì a Vietri nel 1846, in casa del fratello Domenico, per frequentare la facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Ferdinando II” di Napoli, dove si laureò nel 1850.
Ebbe tre mogli: sposò prima Giuseppina Sevoulle, morta dopo aver dato alla luce la figlia Pina. Rimasto vedovo, sposò la sorella Fanny, anche lei scomparsa prematuramente dopo alcuni anni di matrimonio e dalla quale ebbe il figlio Giovanni. A 40 anni, mentre era reggente della Procura generale del Re presso la Corte d’Appello di Catanzaro, conobbe la cutrese Teresina Foresta, che sposò in terze nozze. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Vittorio, Anna, Alberto, Ida e Chiara.
Tajani iniziò l’attività di avvocato a Salerno appena conseguita la laurea. Nel 1858 difese Giovanni Nicotera e i reduci della spedizione di Sapri, alla quale aveva partecipato Carlo Pisacane. Subì per questo le persecuzioni del governo borbonico, in quanto fu a sua volta accusato di essere iscritto alla società segreta Unione Italiana, e fu esule in Piemonte.
Nel 1859 entrò nella magistratura subalpina come procuratore del re. L’anno successivo fu nominato prefetto di polizia a Napoli, in occasione della spedizione dei Mille, quando Garibaldi entrò nella città partenopea, ma si dimise dall’incarico quando il luogotenente Cialdini ripristinò le truppe malavitose organizzate da Liborio Romano, che Tajani aveva sciolto. Venne trasferito con decreto del re presso la Corte di Appello di Ancona in qualità di reggente della Procura generale. Fu poi giudice di Gran Corte Criminale dell’Aquila.
Nel 1865 fu nominato prima reggente e poi procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro e, dal 1868 al 1871, presso la Corte d’Appello di Palermo.
Qui, da procuratore generale, spiccò un mandato di cattura contro il questore della città, Giuseppe Albanese, accusato di essere il mandante dell’omicidio del pregiudicato Santi Termini e di utilizzare i mafiosi come collaboratori nella tutela dell’ordine pubblico. «I caporioni della mafia – segnalò al governo – stanno sotto la salvaguardia di senatori, deputati, ed altri influenti personaggi che li proteggono e li difendono per essere poi, alla lor volta, da essi protetti e difesi».
Quando il questore fu assolto, Tajani si dimise e indignato rifiutò la promozione presso la Corte di Cassazione di Napoli, ritornando pertanto a esercitare la professione di avvocato.
La vicenda suscitò clamore e gli procurò consensi in più ambienti tanto che la Sinistra storica, nonostante le sue idee liberali, lo candidò alla Camera dei Deputati nel Collegio di Amalfi. Fu eletto nel 1874 e successivamente confermato per due legislature ancora ad Amalfi e per altre quattro nel Collegio di Salerno.
Nel corso dell’attività parlamentare si distinse anche per il discorso che pronunciò contro la mafia l’11 giugno del 1875, un’analisi tra le più acute – la prima in assoluto in un’aula parlamentare – poiché Tajani mise in evidenza la collusione tra alcuni settori delle istituzioni e le organizzazioni criminali. Nel biennio 1878-79 e, ancora, dal 1885 al 1887, fu ministro di Grazia, Giustizia e Culti nei Gabinetti Depretis. In questa sede introdusse progetti radicali di riforma che non ebbero seguito per l’interruzione della legislatura, dalla revisione del procedimento sommario delle cause civili al gratuito patrocinio alla priorità del matrimonio civile rispetto a quello religioso.
Fu vicepresidente della Camera dei deputati dal 1881 al 1886 e, dal 1896, senatore nominato per decreto regio.
La difesa del giornalista e politico Raffaele Sonzogno (1875), quella di Francesco Crispi imputato di bigamia (1878), di Giovanni Passannante che attentò alla vita di Umberto I (1879) – per il quale ottenne la grazia – e di Giuseppe Garibaldi nella causa di annullamento del matrimonio con la marchesina Giuseppina Raimondi, aumentarono la sua notorietà.
Morì all’età di 93 anni nella sua casa romana e lo stesso giorno fu commemorato in Senato dal presidente Tommaso Tittoni, che ricordò «la elevatezza dei suoi ideali, il fervido amore per il Paese, la fermezza di carattere [che] sono peculiari doti dinnanzi alle quali i suoi avversari politici si inchinavano».
L’amministrazione comunale di Cutro gli ha intitolato la scuola primaria e la via dove era ubicata la casa in cui nacque e trascorse i suoi anni giovanili. Sempre a Cutro è stata fondata un’associazione che porta il suo nome. Vietri sul Mare gli ha intitolato una strada.

 

 

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