Quotidiano del Sud – 8 giugno 2020

Nasce a Cutro il Centro studi sul primo statista antimafia

Intervista a Mesoraca, da tempo impegnato a promuovere la figura di Tajani

di ANTONIO ANASTASI

 

DELLA serie “forse non tutti sanno che”. Cutro non è soltanto il paese di Nicolino Grande Aracri, il capo di una super cosca che voleva rifondare audacemente equilibri storicamente consolidati nella ‘ndrangheta costituendo una “provincia” autonoma e paritetica rispetto a quella reggina, e che aveva “colonizzato” – citiamo sentenze definitive – la grassa Emilia Romagna al punto da finire al centro del processo più grande contro le mafie mai celebrato al Nord, appunto denominato Aemilia. Di Cutro si parla spesso per la dimensione da capitale mafiosa consegnatale dalle inchieste di varie Dda negli ultimi anni. Ma il cutrese più illustre si chiama Diego Tajani, nato a Cutro l’8 giugno 1827, ministro della Giustizia nei governi De Pretis III, VII e VIII, tra i primi a combattere la mafia con una legislazione speciale. Uno che, quando era magistrato, fece la guerra al questore e al prefetto di Palermo intrallazzati con la mafia. E che da avvocato assunse le difese di gente del calibro di Crispi e Garibaldi. Alla riscoperta di una figura affascinante e complessa ha contribuito Maurizio Mesoraca, ex senatore Pci, già fondatore dell’associazione intitolata allo statista cutrese, autore del libro “Diego Tajani”. Un cambiamento atteso un secolo e i nodi irrisolti dell’Italia” pubblicato da Rubbettino e, ora, promotore di una nuova iniziativa. Un centro studi che si occuperà di fare ricerca su Tajani e di divulgarne il pensiero e l’opera. Ne parliamo con Mesoraca nell’anniversario della nascita di Tajani, del quale il prossimo anno ricorrerà, invece, il 100esimo anniversario della morte.
Perché la nascita del centro studi Tajani a Cutro e che significato ha la sua iniziativa in questo particolare momento storico?
Il “Centro Studi Tajani” viene promosso a Cutro perché nella nostra cittadina si trovano le radici più profonde di Diego Tajani. Egli, infatti, nasce a Cutro l’8 giugno del 1827, da Teresina Fattizza, cutrese, e sposa in terze nozze Teresa Foresta, la cui famiglia proveniva anch’essa da Cutro. Non solo, ma è stato nella nostra cittadina che negli anni sono stati promossi una serie di eventi, fra le quali quella della nascita dell’associazione Diego Tajani per iniziativa del sottoscritto e di altri intellettuali cutresi nel 1990. Credo non ci potesse essere momento più propizio di questo per nascita del “Centro Studi Diego Tajani”, sia per la situazione nazionale che per quella della nostra cittadina. L’Italia versa in una situazione difficile, aggravata in questi mesi dalla pandemia. Essa si trova di fronte ad una pesante crisi non solo economica, ma anche di forte disagio sociale e ad un certo sfilacciamento del tessuto democratico. Per quest’ultimo aspetto basta pensare ai cancri delle mafie, della corruzione e dell’evasione fiscale che hanno pervaso il nostro Paese, nonché alla crisi che ha investito uno dei pilastri dello Stato democratico: la magistratura. Motivi, questi, che rendono appropriate e necessarie iniziative culturali e sociali promosse da associazioni come la nostra che aiutano a “bonificare” i nostri territori dalle distorsioni e dalle illegalità diffuse, come precondizione per un rinnovamento morale, civile e culturale ed economico del nostro Paese. Per quello che concerne Cutro giova ricordare che alcuni mesi fa s’è insediata la Commissione d’accesso antimafia e che nel consiglio comunale non c’è più una maggioranza certa che sostenga l’attuale amministrazione. E’ verosimile, dunque, che nei prossimi mesi il consiglio comunale possa essere sciolto per inquinamento mafioso oppure per mancanza di una maggioranza che sostenga l’attuale giunta. In ambedue i casi si aprirebbero scenari che domandano l’inizio di una fase completamente nuova della vita politica e amministrativa di Cutro.
Che ruolo ha avuto Tajani nell’analisi del fenomeno mafioso e nel porre la sua problematicità all’attenzione del Parlamento?
Tajani ha avuto un ruolo che si può definire storico nella conoscenza e nella lotta contro la mafia, dal momento che egli è stato il primo a portare all’attenzione del Parlamento questo fenomeno. Era, infatti, l’11 giugno del 1875 quando il deputato Tajani si alzava a parlare di mafia! Un argomento che per quei tempi era tabù. La sua non fu una sortita improvvisata; faceva seguito al lavoro come procuratore del re a Palermo, quando con un atto davvero inconsueto per i tempi spiccava un mandato di cattura nei confronti del questore di quella città, Giuseppe Albanese, accusandolo di aver ordinato l’omicidio di un pregiudicato, Santi Termini, e allo stesso tempo di utilizzare i mafiosi come fiancheggiatori per il mantenimento dell’ordine pubblico a Palermo e nel comprensorio. Precedentemente in collaborazione con Silvio Spaventa aveva fatto piazza pulita dei camorristi che si annidavano nella polizia di Napoli su ordine del prefetto borbonico Liborio Romano. E quando il luogotenente Cialdini ripristinava quei manipoli, egli non esitò un attimo a dimettersi. Quindi un impegno nel tempo, quello di Tajani, contro le organizzazioni criminali. Ma col discorso in Parlamento egli faceva qualcosa di nuovo, che rappresenta un punto di partenza per la conoscenza del fenomeno mafioso, seppure con i limiti del tempo in cui Tajani lo pronunciò. Quel discorso rappresenta un’analisi innovativa e lucida del fenomeno mafioso. Rappresenta, soprattutto, la prima accusa in un’aula parlamentare della collusione tra mafia e pezzi importanti della politica e dello Stato dell’epoca, di una classe dirigente che utilizzava la mafia per una falsa affermazione della giustizia, ma che mirava invece a rafforzare il proprio potere. Questione che si ripropone fino ai nostri giorni, e rappresenta uno di motivi principali per cui la mafia in Italia non è stata ancora sconfitta.
Che idea delle istituzioni aveva Tajani e perché dopo l’impegno in magistratura approda in Parlamento?
E’ chiaro che Tajani dimostrò un alto senso delle istituzioni, rompendo con l’idea borbonica dello Stato al quale erano ancora legati parti delle classi dirigenti e intellettuali dell’epoca. E seppure Tajani non fosse estraneo al fenomeno del trasformismo che in quegli anni imperava, egli si distinse perché non lo fece per interessi personali o di carriera. Tant’è che quando si dimise da magistrato rifiutò il trasferimento alla Corte di Cassazione di Napoli e non intraprese subito la carriera politica, ma ritornò ad esercitare la professione di avvocato. Solo due anni dopo, nel 1874, grazie alla fama che s’era guadagnato per le sue dimissioni da magistrato, accettò la candidatura dalla sinistra storica. Fu, così, eletto con voto plebiscitario nel collegio di Amalfi. Nel 1876 e nel 1880 fu eletto vicepresidente della Camera dei Deputati e nel 1878-79 e 1885-87 fu ministro di Grazia e Giustizia nei gabinetti di De Pretis. Nel suo saggio traccia una figura complessa che oltre al problema delle mafie affronta anche questioni come la laicità dello Stato e il Mezzogiorno… Tajani è stata una figura poliedrica: grande avvocato, insigne magistrato e valente parlamentare. Ciò detto, non c’è dubbio che la sua fama rimane in termini preponderanti legata alla battaglia contro la mafia. Si distinse anche per l’impegno verso il territorio nel quale fu eletto, in un’ottica meridionale, non ovviamente nel solco di quella che sarà la battaglia dei meridionalisti quali Giustino Fortunato, Antonio Gramsci e Gaetano Salvemini, ma in chiave di rottura con l’occupa – zione e la gestione dei Borboni e per favorire il riscatto del Sud nel quadro della modernizzazione dell’Italia. Sul piano della laicità dello Stato, egli condusse una battaglia a favore di un rapporto di reciproca autonomia tra Chiesa cattolica e Stato italiano e come ministro di Grazia e Giustizia fece approvare l’obbligo del matrimonio civile prima di quello religioso. Questioni non di secondaria importanza, soprattutto per quei tempi.
Nello statuto del centro studi tra gli obiettivi c’è quello di costruire un ponte ideale tra Cutro e Vietri sul mare, città di cui Tajani era originario, ma anche con Reggio Emilia, meta dell’esodo di migliaia di emigrati ma anche epicentro della super cosca calabro-emiliana oggetto del processo Aemilia, il più grande contro le mafie mai celebrato al Nord. Come si può ricucire, in particolare, il rapporto tra le due comunità segnato profondamente dalle vicende giudiziarie degli ultimi anni?
Tra i punti d’impegno c’è quello di costruire un rapporto stabile tra Cutro e Vietri sul Mare che si dovrà concludere con un protocollo d’intesa e con la partecipazione fattiva alla costituzione del Centro studi. Questo rapporto è nell’ordine delle cose, poiché la famiglia di Diego proviene da Vietri. Una famiglia antichissima e benestante che troviamo a Vietri già dal 1076. Suo padre Giuseppe Maria Tajani, capitano della Repubblica francese, conquistato dalle idee rivoluzionarie, partecipò a tutte le campagne al seguito di Gioacchino Murat. Dopo il ritorno di Ferdinando I sul trono di Napoli nel 1821, il generale Giuseppe Maria Tajani fu inviato nel Crotonese e si stabilì a Cutro, e dove nacque Diego Antonio. Il rapporto con Vietri in questi anni s’è consolidato con una serie di iniziative assunte con la vecchia amministrazione e con l’attuale amministrazione guidata dal sindaco De Simone oltre che con la Congrega letteraria presieduta dal professor Gazia. Con gli amici di Vietri abbiamo tenuto, con la presenza di Isaia Sales, dello storico Pasquale Natella e del sottoscritto, un convegno molto interessane sulla figura di Tajani. L’anno scorso, poi, ho presentato il mio libro su Tajani. Diverso è il legame con Reggio Emilia. Sin dagli anni ’70 è iniziato un esodo di migliaia di emigrati nella città emiliana, tanto da costituire qui una vera e propria comunità cutrese. Purtroppo assieme a questi lavoratori si sono insediati nuclei di mafiosi che sono riusciti a permeare il tessuto economico-sociale di Reggio e a costituire una potente cosca calabro-emiliana. La presenza della ‘ndrangheta cutrese e calabrese non è stato un fulmine a ciel sereno. Fa parte di un processo nazionale costituito dal fatto che da alcuni decenni le mafie, in particolare la ‘ndrangheta, si sono radicate nel Centro-Nord del Paese, non solo in Emilia. A ciò ha fatto seguito un’incomprensibile negazione del fenomeno mafioso nelle regioni del Nord. Per quello che concerne l’Emilia abbiamo registrato, e tuttora in parte registriamo, una doppia negazione della presenza mafiosa. L’una, da parte di settori dell’imprenditoria e della politica di Reggio, l’altra da parte dei cutresi che, dietro l’argomentazione ovvia che la comunità cutrese non è una comunità mafiosa, non vuole fare i conti con la presenza di una cosca cutrese e calabrese nella città emiliana. In tal modo s’è aperto un vero proprio fossato tra la comunità di Reggio Emilia e quella di Cutro, che abbiamo il dovere di colmare prima che diventi insanabile. Da dove iniziare? Intanto dalla comprensione di questo fenomeno. La ‘ndrangheta nel centro-nord non si presenta come un esercito di occupazione che si fa strada a colpi di pistola e occupando, come fa in Calabria, il territorio strada per strada. Si insedia nei gangli dell’economia settentrionale e, dunque, anche in quella emiliana, collocandosi come forza funzionale alle esigenze di settori dell’economia e del mercato di quelle aree. E lo fa spesso senza incontrare particolari resistenze, la qual cosa dovrebbe costituire elemento di riflessione da parte delle classi dirigenti del Nord. E’ tempo di prendere atto che ormai tra il mondo dell’economia e quello delle mafie c’è ovunque un forte intreccio costruito su interessi reciproci. Non basta la presa di coscienza del fenomeno per sradicarlo. C’è il problema di quale reazione mettere in campo. E’ ciò che riguarda in primis lo Stato, ma anche le classi dirigenti e le istituzioni calabresi ed emiliane. La cultura può giocare un ruolo fondamentale. E’ quello che si propone di fare il mio libro su Tajani e il costituendo Centro studi Tajani. Aprire una discussione sul fenomeno e su quali iniziative politiche, istituzionali e culturali mettere in moto per sanare il fossato che s’è aperto e dare più complessivamente un contributo alla lotta alle mafie. Fondamentale sarà liberarsi da reciproche “resistenze”, promuovendo con convinta volontà le iniziative utili. Volontà che ho potuto riscontrare in tante personalità sia a Cutro che in Emilia, a cominciare dall’ amministrazione di Reggio guidata dal sindaco Luca Vecchi e dall’associazione guidata dalla conterranea Palmina Perri con cui avevamo programmato di presentare il mio libro. Le attività del costituendo centro studi sono state bloccate dalla pandemia ma adesso si riparte.
Che progetti ci sono in cantiere?
Il Centro studi si propone innanzitutto l’obiettivo di approfondire e di valorizzare la figura di Diego Tajani, ma si propone altresì il compito di caratterizzarsi su quattro temi fortemente intrecciati alla sua figura: legalità, giovani, Mezzogiorno e rapporti Nord-Sud. La pandemia non ci ha permesso di portare a termine le attività che avevamo in cantiere, tuttavia in questi giorni il Comitato promotore ha ripreso le sue attività ed ha programmato la stesura dello statuto e dell’atto costitutivo nonché la realizzazione di un sito Internet e un convegno che si terrà a Cutro per la presentazione del Centro il prossimo 2 febbraio, centenario della morte di Diego. In quella occasione ci proponiamo di lanciare un Premio nazionale intitolato a Tajani.

 

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